Reddito di cittadinanza - sentenza della Corte di Giustizia dell'Ue
Il requisito è discriminatorio e non sanzionabile chi lo ha presentato una falsa dichiarazione. La sentenza
Uno Stato membro non può subordinare l’accesso dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale al requisito, applicabile anche ai cittadini di tale Stato membro, di aver risieduto in tale Stato membro per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Allo Stato membro è altresì vietato sanzionare penalmente una falsa dichiarazione riguardante tale requisito illegale di residenza.
È la sentenza della Corte di Giustizia dell'Ue nelle cause riunite C-112/22 CU e C-223/22 ND, relative al reddito di cittadinanza.
Due cittadine di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo in Italia, scrive la Corte in un comunicato, sono accusate di aver commesso un reato. Esse avrebbero infatti firmato domande per ottenere il «reddito di cittadinanza», una prestazione sociale intesa a garantire un minimo di sussistenza. Avrebbero falsamente attestato di soddisfare i requisiti per la concessione di tale prestazione, compreso il requisito della residenza della durata di almeno dieci anni in Italia, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Avrebbero indebitamente percepito, a tale titolo, una somma totale pari a, rispettivamente, EUR 3 414,40 ed a EUR 3 186,66. Il Tribunale di Napoli chiede alla Corte di giustizia se tale requisito di residenza sia conforme alla direttiva sui cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (Dirtettiva 2003/209/CE).
La Corte considera, anzitutto, che il requisito di residenza di cui trattasi costituisce una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. Infatti, anche se tale requisito si applica anche ai cittadini nazionali, esso interessa principalmente i cittadini stranieri, tra i quali figurano in particolare tali cittadini di paesi terzi.
La Corte esamina poi se tale disparità di trattamento possa essere giustificata dalla differenza dei rispettivi legami con lo Stato membro interessato dei cittadini nazionali e dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo. La Corte constata che la direttiva prevede, affinché un cittadino di un paese terzo possa ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo, un requisito di soggiorno legale e ininterrotto di cinque anni nel territorio di uno Stato membro. Il legislatore dell'Unione ha considerato tale periodo sufficiente per avere diritto alla parità di trattamento con i cittadini di tale Stato membro, in particolare, per quanto riguarda le misure riguardanti le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale. Pertanto, uno Stato membro non può prorogare unilateralmente il periodo di soggiorno richiesto dalla direttiva affinché un cittadino di un paese terzo soggiornante di lungo periodo possa beneficiare di un trattamento paritario rispetto ai cittadini di tale Stato membro in materia di accesso a una simile misura.
Infine, la Corte rileva che è altresì vietato allo Stato membro interessato sanzionare penalmente una falsa dichiarazione riguardante un requisito di residenza che viola il diritto dell'Unione.
IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.